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I Festival in streaming: le dirette live come rito collettivo

L’altro giorno, parlando con un’amica a proposito del Trieste Film Festival, giunto alla sua 32° edizione, mi lamentavo del fatto che non sono riuscita a vedere tutti i film che avrei voluto e che mi sono sentita molto condizionata dal limite delle 72 ore di tempo che lo spettatore online ha a disposizione per collegarsi sulla piattaforma streaming del Festival e vedere un film dal momento della sua “prima”.

– 72 ore sono troppo poche! – ho esordito dicendo. E lei: – ma è quello che succede in tutti i Festival! Se vai a un qualsiasi Festival cinematografico hai a disposizione 2 o 3 chances per vedere ogni singolo film e non di più. –

Da una parte pensavo: ma allora che vantaggio c’è nel mettere online un Festival su una piattaforma streaming (al di là del fatto che è un obbligo imposto dal fatto che siamo nel bel mezzo di una pandemia)?

Dall’altra, faceva capolino nella mia mente un pensiero: è fatto apposta! È fatto appositamente per non farci mancare il brivido dell’evento dal vivo. Perché la visione limitata nel tempo di un film, non fa altro che riprodurre ciò che avviene realmente in un Festival – come diceva la mia amica appunto, e forse tutto era appositamente studiato per restituirci quel senso di effimero, che fa parte della magia di vedere un film in un Festival, che è una cosa che ci piace e, di solito, anche molto. Perché ci emoziona, ci fa organizzare, ci fa annullare impegni e ci fa scegliere tra un film piuttosto che un altro. E nella misura in cui occupa in maniera rilevante il nostro tempo, come tempo della cultura anziché solo del loisir, diventa un appuntamento importante con noi stessi, anziché solo con il divano e il relax del dopocena.

E allora ho iniziato a riflettere sulla differenza tra questa nuova modalità di fruizione dei film a cui, volente o nolente mi ha costretto il Trieste Film Festival e la “classica” fruizione a cui ci stiamo abituando tra le quattro mura di casa da quando le sale cinematografiche sono chiuse, da quando abbiamo iniziato a costruirci il nostro palinsesto personale facendo zapping tra Netflix, PrimeVideo, NowTV e le varie piattaforme di streaming on demand.

Con Netflix, abbiamo la possibilità di accedere costantemente a dei contenuti non limitati e sempre disponibili.

Ma il film è prima di tutto un evento, un rituale collettivo, un qualcosa di limitato a un momento insieme in una sala cinematografica. Le persone che vanno al cinema, sia che si conoscano sia che siano perfetti sconosciuti, condividono un luogo e un’esperienza.

Allora cosa fa oggi un Festival in streaming? Consente alle persone di ritornare a quella ritualità, ricrea l’unicità della visione dell’evento. Lo spettatore ha a disposizione solo 72 ore dalla “prima” per collegarsi e vedere il film, è costretto a rivivere l’emozione di andare al cinema, emozione negata dalla situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Insomma è chiamato a fruire dell’evento con l’emozione del qui e ora.

Questo è quello che fanno e vogliono fare le dirette live streaming oggi: restituire l’emozione della diretta, dell’essere presenti pur non essendolo fisicamente. L’emozione della partecipazione a un rituale collettivo. Proprio questa emozione, anche al di là della pandemia, ci è sempre più spesso negata dal diffondersi delle piattaforme di contenuti on demand, che si sono imposte come unica forma di fruizione dei film.

Negli ultimi anni infatti, è venuto sempre meno il concetto dell’aura legata all’opera d’arte, per come ce lo aveva raccontato il buon Walter Benjamin che per aura intendeva proprio l’hic et nunc dell’opera d’arte, poiché la sua essenza è unica, autoritaria, autentica e irripetibile nel luogo in cui si trova. Dice Benjamin: “ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è “l’aura” dell’opera d’arte”.

Il fatto di poter fruire di un’opera d’arte come ad esempio un film in un determinato spazio e in determinate condizioni sempre uniche, restituisce oggi al film la sua aura, che altrimenti si viene a perdere nella sua infinita riproducibilità sulle piattaforme on demand.

Quello che possono fare le dirette live streaming è restituire agli eventi la loro unicità e la loro ritualità. L’evento non registrato, ma fruito in diretta live, con la possibilità di partecipare in chat da parte degli spettatori, è un rito mediatico nuovo ma che affonda le sue radici nel passato, nell’esigenza – antica quanto l’uomo – di condivisione e di partecipazione a qualcosa di unico e irripetibile, a un rito che ci rende vivi e che restituisce al video, al film, alla performance quella dimensione di unicità che ci fa emozionare, ci fa pensare e ci fa crescere come un’esperienza tutta da vivere e non solo da subire passivamente e distrattamente abbandonati su un divano.

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